Foto di Enrico Minotti
Il sogno di Gabriele è sempre stato quello di fare il pastore. Più che un’occupazione, la sua è una vocazione. Un lavoro difficile, denso di sacrifici. Ecco la sua storia.
Nasce nella bergamasca, Gabriele Arrigoni, 46 anni fa. La sua è una famiglia che ha sempre allevato animali. E’ stato naturale per lui quindi, cominciare ad occuparsene da giovanissimo. Prima impara il mestiere con le mucche, poi col tempo comincia ad allevare pecore. Con l’arrivo dell’estate porta il gregge al pascolo in alta quota per la consueta monticazione. Una marea bianca di 1400-1500 capi, che si sposta lenta a piedi, da Chiavenna verso la Valle Spluga, per raggiungere la Valle di Lei.
Ha 17 anni quando decide che questa passione per gli animali, per l’allevamento, sarà la sua professione negli anni a venire. Il mestiere è duro, durissimo. Sveglia all’alba e a letto presto. Quando era ragazzo trascorreva la maggior parte del tempo in solitudine, ad accudire centinaia e centinaia di animali. Il suo habitat ideale è sempre stato la montagna, all’aperto, intorno ai 2000 metri. Per soffitto ha il cielo: vive sotto il sole e la pioggia, anche
quando è sferzata dal vento e dal freddo.
Per Gabriele lo scandire lento del tempo, delle stagioni, è segnato da due importanti avvenimenti: il trasferimento dei suoi animali in montagna – tra maggio e giugno – e la discesa verso la Pianura Padana, tra settembre e ottobre. Da 12 anni la sua meta estiva è la Valle di Lei. La raggiunge a piedi passando da Fraciscio, Angeloga e Lago Nero.
“Qui sono in pace - ci racconta -. Le mie pecore stanno bene e hanno bei pascoli a disposizione”.
La sua attività ha una funzione importantissima per l’habitat alpino. Contribuisce a tenere pulite le erbate e contrasta l’avanzata del bosco, che negli ultimi decenni si è ripreso gran parte di quel territorio abbandonato dall’uomo. “E’ un lavoro unico - confida -, che dà grande libertà. Non ho orari e vivo all’aria aperta. E’ un peccato che non ci siano più persone, giovani soprattutto, disposti a portare avanti questa occupazione”. Fare il pastore adesso è molto più facile rispetto agli anni in cui cominciò Gabriele. La tecnologia e le vie di comunicazione tracciate anche in alta montagna rendono meno solitaria questa vita. Ancora oggi però, Gabriele deve proteggere le sue pecore dai lupi, dalle malattie, dai fiumi, dalla neve, talvolta anche dai turisti infastiditi dalla pastorizia. Purtroppo non ne comprendono l’importanza. Le pecore sono animali vulnerabili e il legame che le unisce al loro pastore è necessario. A riflettere bene, la loro presenza in montagna è più che mai necessaria anche per coloro che trascorrono qui una vacanza, ma ne apprezzano l’integrità e la sua conservazione.