A cura di Nicola Andrea Rizzi
“Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza [...] e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”.
Coerente con il filosofo americano Henry David Thoreau, ma forte di una motivazione differente, sono salito sul pian dei Cavalli il 27 maggio, con l’idea di viverci per i seguenti due mesi. Virus, Fase-3 e distanziamento sociale sono stati i pretesti per trasferirmi nella baita, ora ristrutturata, che i miei nonni e mio padre abitavano saltuariamente insieme ai pastori, durante la monticazione estiva del bestiame. Sono solo, in compagnia del silenzio e delle marmotte, ma qui fino a metà degli anni ‘80 c’era una piccola comunità montana che abitava tutti i caseggiati ora per lo più abbandonati. La strada, per fortuna, non arriva fin quassù.
Lascio la macchina all’inizio dell’alpeggio di Frondaglio e zaino in spalla trasporto i viveri per le prime due settimane, lungo il percorso che porta fino a Zoccana (2006 m, sentiero C30). C’è ancora la neve, la casa è fredda e non posso stendere il materasso al sole come mi insegnerà un mese più tardi Valentino, il veterano di Tojana, ma trabocco di gioia. La paura del virus è 2000 metri più in basso, lo sguardo vola sulla Valchiavenna e sulle vette che mi circondano. Non si infrange più su un altro palazzo come a Milano.
Le capre arrivano in un paio di settimane. A centinaia! Salgono sul tetto del casello e scampanellano attorno alla fontana. Marmotte vedette fischiano l’arrivo dei rari camminatori o delle aquile che volteggiano nelle correnti d’aria. Passano le settimane, spese in letture, meditazione e lavori manuali.
Il cuore si gonfia nella natura. Se di giorno l’occhio si abbevera di distanze e paesaggi montani, la sera si può perdere nelle profondità del cielo stellato.
Ho portato un telescopio e son contento di essermi caricato quei 15 kg in più. Giove, Saturno, Marte e la cometa Neowise e la Luna. Enorme! Stelle cadenti a grappoli, uno spettacolo che nessun UCI può eguagliare. E’ trascorso un mese, la casa ormai è calda, le giornate scandite da abitudini necessarie come tagliare la legna, aggiustare le parti della baita che più hanno sofferto l’inverno e passeggiate fino al lago Bianco o al Baldiscio.
Il muro a secco che taglia l’alpeggio, Frondaglio da una parte e Tojana dall’altra, mi lascia sempre pieno di ammirazione per lo sforzo di operosità di chi l’ha costruito. Passano altri giorni, la neve è ormai relegata alle cime più alte. Alcuni fiori sfioriscono e altri fioriscono, i colori cambiano e la natura dimostra l’interdipendenza di tutte le cose. Un ciclo potente, ma invisibile nella metropoli. Silenzioso, vitale rimette gli uomini al loro posto.
Sono arrivati i cavalli e le mucche brucano distese di ranuncoli che renderanno il loro latte giallo. La temuta mancanza di bar, ristoranti e aperitivi non c’è mai stata, si dissolve nel quotidiano e sublime spettacolo della natura incontaminata. Sono un semplice osservatore della maestosità della Valchiavenna, che riempie gli occhi e il cuore di un cittadino fortunato. Ma oggi è il 27 luglio, devo tornare alla civiltà, se così dobbiamo chiamarla.