Testo di Gianni Moralli
Foto tratte da "Storie della Val di Lei per immagini" di G.L. Fanetti e L. Guanella
Una mattina dei primi anni Cinquanta un gruppo di ragazzi insieme a Don Luigi Re partì dalla Casa Alpina di Motta diretto verso il grande cantiere che in Val di Lei avrebbe dato alla luce la celebre diga.
Ecco il racconto di quella giornata
La storia che vi stiamo per narrare ha origini nel 1462. A quell’epoca il Comune di Piuro acquistò dai conti Erdenberg-Sargans i diritti sulla Val di Lei, pagando la somma di 101 fiorini d’oro, come ricorda lo storico Guido Scaramellini nel libro dedicato a Piuro.
A quel tempo nessuno pensava all’importanza strategica che avrebbe assunto quel territorio montano, posto al confine tra i Grigioni e la Valtellina, a 2000 metri di quota, raggiungibile da Campodolcino e da Piuro soltanto a piedi. Arriviamo così ai primi anni del Ventesimo secolo quando si progettò la costruzione di una diga in valle, tra l’Italia e la Svizzera, il cui contratto fu stipulato solo nel 1949 e l’inizio dei lavori nel 1956. Ricordo ancora quel mattino agostano dei primi anni ‘50. Partimmo dalla Casa Alpina di Motta di buon mattino con il direttore don Luigi Re, don Mosca della Segreteria vaticana, don Passoni, poi Prevosto a Paderno Dugnano. Eravamo tutti diretti all’Angeloga da dove avremmo poi deviato verso la lunga gola della Val di Lei che ci avrebbe portato alla Dogana, dove si stava allestendo il cantiere. Già da qualche tempo c’era fermento per i lavori dell‘imponente teleferica che da Campodolcino saliva verso la diga. Un collegamento indispensabile per il grande villaggio composto da 3400 tra operai e tecnici. Don Luigi tra aneddoti, barzellette, rosari e spuntini ci raccontava che era stato nominato “cappellano-sul posto” di quella immensa fabbrica esposta ai quattro venti e che,
non potendo incontrare tutti quei suoi “parrocchiani”, li raccomandava alla Madonna. Giunti al grande alpeggio dove pascolavano centinaia di mucche, ci fermammo per una preghiera nella minuscola chiesetta dedicata a Sant’Anna. “L’anno prossimo sarà l’ultimo per noi qui: tutto verrà invaso dall’acqua fino a quel sentiero lassù” ci confidò un pastore del posto. Alla Dogana don Luigi ci lasciò finalmente liberi per alcune ore, mentre lui si intratteneva a lungo con i responsabili del cantiere ed alcuni operai. La diga si trovava all’inizio in territorio italiano e con il completamento dell’opera passò alla Confederazione Elvetica.
Rientrammo alla Casa Alpina a pomeriggio inoltrato, seguendo l’alto sentiero che arriva alla “Serenissima” dove oggi come allora, sferza di sovente il vento. Ricordo ancora l’entusiasmo nel vedere radunati ad attenderci nel piazzale della casa Alpina, tanti amici intorno a don Giovanni Barbareschi, colonna e braccio destro di don Luigi e che sarà poi il suo successore a Motta.
Una giornata come tante, rimasta impressa nella memoria di un ragazzino.